I monoproteici nel PetFood
Il "monoproteico" è nato vent'anni fa nel petfood per indicare prodotti con una sola fonte proteica. Serve principalmente a diagnosticare e trattare le reazioni avverse al cibo (AFR) e può essere usato come terapia a lungo termine. Anche se meno diffusa, è impiegato in diete "sacrificiali" per problemi intestinali.
L’introduzione della definizione di monoproteico nel mercato del petfood sta ormai per compiere quasi vent’anni.
Inizialmente l’utilizzo del termine è stato un po' abusato e successivamente è stata quindi fatta chiarezza sull’utilizzo del claim.
In una prima fase molti produttori utilizzavano il termine per indicare mangimi composti che utilizzavano una sola tipologia di carne, facendo riferimento alla specie, non prendendo in considerazione eventuali altre proteine di origine diversa da quella animale.
Agli effetti, facendo riferimento in modo stretto e assoluto, la definizione di tale appellativo andava utilizzata solo nel caso di un'unica fonte proteica, e in tal caso avremmo dovuto utilizzarlo solo nel caso si componesse il prodotto con un solo ingrediente.
Per fare un esempio pratico, una formula maiale e granturco non potrebbe essere considerata un mono proteico in quanto il mais contiene anch’esso proteine con potere allergenico.
Quindi entra in uso la definizione di “singola proteina di origine animale “ per non indurre false aspettative dagli operatori del settore e per i consumatori.
La tecnologia delle produzioni ha poi colmato il gap comunicativo con l’introduzione degli amidi purificati in sostituzione della fonte di carboidrati, risolvendo di fatto il problema legato alla presenza di altre fonti proteiche.
Concentriamoci ora sul motivo che ha spinto la nascita del monoproteico.
Principalmente nasce come strumento atto a identificare le AFR (adverse food reaction), una patologia che sembra sia stata in progressivo aumento nell’ultimo ventennio; il dubbio rimane quello che possa essere un aumento realistico o magari lo sviluppo delle pratiche veterinarie e l’aumentata attenzione da parte dei proprietari abbia portato ad un notevole aumento delle diagnosi.
In ogni caso ad oggi l’utilizzo dei monoproteici risulta lo strumento più valido nella diagnosi di AFR rimanendo ancora i pannelli sugli allergeni alimentari uno strumento non totalmente condiviso dalla comunità scientifica.
L’utilizzo delle diete monoproteiche o a singola fonte di origine animale possono, oltre che strumento diagnostico, essere utilizzati come soluzione terapeutica, quindi una volta appurata l’AFR , che andrebbe di prassi confermata con test di provocazione, la stessa dieta piò essere mantenuta al fine di mantenimento.
Questo è possibile nei casi in cui il mangime sia stato etichettato come mangime completo.
La definizione di completo può essere utilizzata quando in esso sono presenti tutti i nutrienti indispensabili per il sostentamento del soggetto che se ne nutre.
La presenza di un numero limitato di materie prime non inficia le sue proprietà nutritive, di conseguenza un mangime con singola proteina di origine animale o nel caso di un monoproteico di fatto può senza dubbio essere formulato come completo.
Un altro fine a cui i monoproteici potrebbero essere destinati sono quelle chiamate “ diete sacrificali”. Il nome, apparentemente cruento, indica una dieta da utilizzare in fasi acute di disturbi intestinali che a causa dell’alterata permeabilità della mucosa intestinale, potrebbero migrare attraverso la stessa ed
essere riconosciuta dal sistema immunitario e quindi sviluppare allergia nei confronti della proteina utilizzata.
In questo frangente l’utilizzo di un monoproteico, magari contenete proteine di una determinata specie di uso non comune, potrebbe sensibilizzare l’animale nei confronti di proteine meno diffuse sul mercato. Per capirci meglio, se in fase di potenziale sensibilizzazione si utilizzasse, per esempio, una proteina di cervo, ed il soggetto il soggetto sviluppasse un’allergia al cervo quando esso torna alla normalità potrebbe ricominciare a nutrirsi con comuni mangimi al pollo. Il punto debole di questa tecnica, che lo ha fatta cadere in disuso, è che solitamente è difficile individuare quella fase specifica e che la maggior parte iniziano il percorso medico dopo che quel meccanismo di riconoscimento da parte del sistema immunitario è già avvenuto. Ma il concetto teorico risulta comunque valido e potenzialmente applicabile.
Concludendo possiamo quindi affermare che la dieta monoproteica rimane un valido strumento diagnostico e terapeutico a disposizione del medico veterinario che si confronta quotidianamente con le reazioni avverse al cibo dei nostri pet.